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25.8.10

Judith Crawn - Parte 1

Mi hanno detto: "Lasciate cadere dalle vostre sanguinarie mani quel mal temprato ferro". Io ho risposto: "No". Non posso abbandonare la mia spada, lei è l'acciaio che protegge la mia carne, è l'involucro del mio spirito e quando ne ho bisogno il mio altare. Prego da quel giorno in cui ho capito di non essere predestinato, fino ad allora ero incatenato al mio piccolo inevitabile destino, un destino aspro come la scorza di un limone e immutabile come il cuore petroso di una montagna lontana dal mare. Andai così in cima ad una vetta e vidi un eremo, non sapevo ancora però che tutto sarebbe cominciato da lì, all'eremo di Mitternacht. Forse fu l'ultimo posto che raggiunsi portato in braccio dal fato e dagli dei, perché fino ad allora le divinità erano solo buoni bersagli, fantocci di paglia infilzati da una miriade di dardi benedetti dalle mie imprecazioni, maledizioni rivolte a me stesso. In quegli anni credevo di essere troppo forte ma in me mancava il coraggio di imprecare verso me stesso. L'eremo mi aiutò, cominciai a disprezzarmi a tal punto che nessun'altra creatura, per quanto orribile e malvagia, mi avrebbe fatto schifo quanto me. Il mio spirito rimase puro, in quella spada piena di macchie di rosso vermiglio, ingiallite dal tempo e dalla stanchezza, ad attendere me e la mia risalita da acque talmente profonde che perdevano la luce del Sole. Troppo tempo impiegai a fallire, altrettanto a riprendere la buona strada. I giorni in quell'eremo erano pietosi, pochi anacoreti riconoscevano quel posto come loro dimora e ancor meno erano quelli che mi guardavano in volto. Di troppi sfregi mi sono incoronato, di troppe anime innocenti ho ignorato il valore, a tal punto da avere una cicatrice così lunga che mi passava da capo a piedi attraversando tutto il lato sinistro del mio corpo, una cicatrice senza taglio, in mille notti senza luna. Ingurgitai solitudine fino a sputare le viscere che non avevano più dominio del mio vecchio corpo malandato, non vi era spazio per entrambe le cose, fu una sfida tra il cibo e la solitudine... così, la signora più vicina alla morte prevalse. Ero solo ma non come un cane, perché un cane è una bestia che conosce la fede, io ero una bestia senza possedimenti di alcun tipo, nessun soldo, nessun valore. Solo la mia spada ed il mio spirito che urlava dentro quella bara di acciaio, appeso ad un chiodo, messo a testa in giù, sfinito da ogni battito del mio cuore cigolante e ricolmo di pece, una colla nera che vagabondava nelle mie vene, mute e sorde come me. Arrivò il giorno in cui cominciai ad ascoltare.

9 commenti:

Unknown ha detto...

finalmente siamo partiti! :)

Luigi Nalli ha detto...

Yeeeeeeee!!! :D

Emanuele Secco ha detto...

a bomba!

E.

Lola ha detto...

figata ragazzi! :D

TheMirk ha detto...

Brai fioi!

Ary ha detto...

:D Amore, questa parte è proprio figa! :D smack

cmq bravi ragazzi, son contenta che finalmente siate partiti.. :D

Alessandro Cocco ha detto...

Inizio interessante, non vedo l'ora di leggerne il seguito! =)

Emanuele Secco ha detto...

beh...che dire....grazie a tutti :-)

E.

Luigi Nalli ha detto...

Grazie Alessandro, grazie a tutti :)