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3.9.10

Judith Crawn - Parte 3


   Mi hanno detto: «Devi eseguire gli ordini del re». Sapevo benissimo cosa mi stavano ordinando di fare. Con l'ascesa al trono di un nuovo re, bene o male, sfocia sempre qualche ribellione, soprattutto tra i plebei che magari si vedono aumentare le tasse o diminuire il prezzo del grano.
   Il mio lavoro, in realtà l'unico che sapessi fare veramente bene, sarebbe stato quello di sopprimere uno ad uno i focolai di malcontento che stavano divampando in una mezza dozzina di villaggi a poche miglia dalla capitale del regno, Dohnesburg.
   E così ho fatto.

   Ora, erano tutti morti. Uomini, donne, bambini. Alla notizia dell'arrivo della mia compagnia, per quella missione mi avevano affidato circa duecento uomini, i ribelli si riunirono in un solo esercito, di circa trecento uomini, per darci battaglia. Sapevo già che la vittoria sarebbe stata mia, soprattutto contro una cenciosa e puzzolente banda di contadini, ma devo ammettere che non è stato per niente facile.
   Lo scontro iniziò verso mezzodì. I ribelli cominciarono ad avanzare correndo e gridando spinti da un epico furore, ma non avevano nemmeno qualche arciere che gli garantisse un po' di copertura; io ce li avevo, e li usai a dovere. Mi bastarono tre scoccate, poi partimmo anche noi all'attacco. Quando le due formazioni si scontrano si scatenò l'inferno. Mentre dal mio cavallo uccidevo i ribelli uno ad uno, notavo con orrore che qualcuno dei miei migliori uomini veniva sopraffatto dalla rabbia dei contadini. Nell'attimo in cui mi feci prendere dallo sconforto un paio di contadini riuscirono persino a disarcionarmi. Ebbi paura di non farcela. Sentendo la puzza della sconfitta, il mio braccio si rinforzò ancora di più e cominciò a mollare fendenti a destra e a manca tagliando teste, mani, braccia e ferendo svariati petti non coperti da armatura. Poco dopo mi accorsi che i ribelli stavano tentando di battere in ritirata, ma ormai erano troppo pochi per farcela a scappare. Li uccidemmo uno ad uno. Qualcuno lo bruciammo vivo allestendo un rogo di fortuna.
   Rimanemmo su quella radura fino al mattino dopo a bere e mangiare, un piccolo banchetto campale del vincitore. Tanta era la gioia per la vittoria che molti di noi, per non perdere anche un solo attimo dei festeggiamenti, si dimenticarono persino di lavarsi via il sangue dalle armature. Incredibile cosa riescono a fare sangue e vino se presi in dosi massicce.
   Anche se non mi vanno a genio le rivolte plebee, perché è di questo che stiamo parlando, devo ammettere che i contadini si sono fatti valere e che credevano veramente in un ideale comune. Rimango convinto che se ci avessero presi di sorpresa o se si fossero organizzati un po' meglio per affrontare lo scontro ci avrebbero sopraffatti, e ora io non sarei qui a raccontarvelo.
   I ribelli non accettarono nemmeno la somma che il re aveva offerto loro per farli star buoni, e per questo rendo onore a loro tutti. Ma a che serve ribellarsi se sai per certo che prima o poi verrai massacrato? Quella gente ha voluto mantenere intatto il proprio onore. ora quei corpi emanavano solo un disgustoso olezzo di morte, odore al quale prima o poi ti abitui se fai della guerra il tuo mestiere. Però, anche se hai fatto della guerra il tuo mestiere e dentro ti è rimasto un po' di onore, non riuscirai mai a toglierti dalla mente quel momento in cui, preso dalla furia della mischia, hai mozzato la testa ad un bambino armato di martello che correva contro di te. Che gli dei mi proteggano. Era comunque un bambino... anche se armato.

Dal diario di Sergey Hellstrom, pagine 21-22